Lettura casella di posta elettronica da parte del datore di lavoro: lecito?

17/05/2003
di Valentina Frediani

La questione inerente l’accesso da parte del datore di lavoro alla casella di posta elettronica in uso del dipendente, pone due problematiche di tipo giuridico: l’una inerente la potenziale violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori – recante il divieto dell’utilizzo di sistemi di videosorveglianza – l’altra connessa alla potenziale violazione della privacy. In merito al primo aspetto, vi sono due correnti di pensiero. Taluni ritengono che il controllo delle e-mail da parte del datore di lavoro non configuri una condotta lecita in quanto incompatibile con i diritti costituzionali dell’inviolabilità della libertà e della segretezza nonché tenuto conto proprio dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, che stabilisce: “È vietato l´uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature (ai fini del presente articolo, si ritengono inclusi i pc, server e strumenti elettronici mediante cui visualizzare l’attività del dipendente) per finalità di controllo a distanza dell´attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell´attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna”.

formaz_14119229_xlLa norma individua pertanto due punti cardine: uno è dato dal divieto assoluto ed inderogabile di installazione ed uso di apparecchiature esclusivamente al fine di controllare l’attività dei lavoratori partendo dal presupposto che la vigilanza sul lavoro, pur se necessaria nell’organizzazione produttiva, debba essere contenuta in una dimensione umana e non con la finalità esclusiva di eliminare ogni zona di riservatezza spettante al dipendente (e ricordiamo che se il datore di lavoro legge la posta elettronica del proprio dipendente non rispettando le prerogative poste a tutela dello stesso, può incorrere anche nel reato di violazione della corrispondenza punito con la reclusione sino ad un anno!!!); l’altro punto concerne la “flessibilità” del divieto qualora vi sia un interesse superiore inerente esigenze di carattere organizzativo e produttivo dell’azienda. Secondo altra corrente, invece, è legittima la lettura da parte del datore di lavoro della posta elettronica del dipendente, in quanto il lavoratore negli ambienti di lavoro e durante l’orario, può utilizzare gli strumenti messi a sua disposizione solo per scopi lavorativi.

Conseguentemente, qualora il contenuto delle e-mail sia di tipo prettamente personale ma redatto ed inviato durante il normale orario di lavoro con l’utilizzo della strumentazione in uso nell’ambiente di lavoro, non può certo ritenersi configurabile un illecito da parte del datore di lavoro, proprio perché si presume che tutta la posta concerna esclusivamente contenuti attinenti l’attività lavorativa. In tal caso sarebbe peraltro il dipendente ad incorrere in un reato, in quanto la sua “distrazione” per inviare e ricevere posta elettronica personale, può configurare un cosiddetto “furto tempo macchina”, ovvero un furto da parte del dipendente del tempo che dovrebbe destinare allo svolgimento dell’attività per la quale è stato assunto. In materia poi di violazione della privacy, secondo la sottoscritta non è condivisibile ritenere le notizie inviate e ricevute mediante casella di posta elettronica aziendale, prettamente personali, e quindi tutelabili dalla legge 675/96.

Di parere contrario sembrerebbe essere il Garante della Privacy, che sino ad oggi si è espresso a favore del diritto del dipendente alla riservatezza in materia di messaggi personali anche se inviati con posta elettronica aziendale, salvo l’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia informato il dipendente dell’eventualità di dover controllare la casella in suo uso (pur sempre e solo per motivi di ordine aziendale). La soluzione a questo “rompicapo” giuridico – spesso ricorrente nelle aziende italiane – può derivare pertanto solo dall’adozione da parte datore di lavoro, del regolamento aziendale interno che indichi espressamente la destinazione della casella di posta elettronica ad un uso esclusivamente di tipo lavorativo, precisando eventualmente ipotesi tassative di utilizzo della posta elettronica per motivi extra lavorativi.

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