Dati erronei sulla solvibilità? Chi sbaglia, paga

28/04/2005
di Valentina Frediani

Dati relativi alla solvibilità segnalati erroneamente ad una centrale rischi? Da oggi il danno si paga.

security_362326_xlQuesto quanto stabilito dal Tribunale di Roma con sentenza n. 31848 depositata a fine 2004,  a seguito di domanda di risarcimento danni avanzata da una società operativa nel settore informatico in occasione di una vicenda relativa all’erroneo trattamento di dati. Nei fatti la società di informatica subiva un arrestamento nel proprio disegno di sviluppo dell’attività a causa di due episodi contemporanei aventi come controparti, banche. In un caso alla società di informatica veniva revocato un fido a suo tempo concesso, in un altro le veniva rigettata la domanda di allargamento del fido.

Indagando sulle motivazioni di tali rifiuti, la società veniva a conoscenza che un istituto di credito di cui era cliente aveva segnalato alla centrale rischi della Banca d’Italia – che monitora i dati relativi alla solvibilità di privati ed imprese – dati erronei relativamente ad un credito classificato “in sofferenza” (ovvero “etichettando” la società di informatica non adempiente su quel pagamento).

Errore sulla rilevazione del dato costato assai caro all’istituto di credito: il Tribunale di Roma lo ha infatti condannato ad un maxi-risarcimento di ben 1.200.000 euro!!! Cifra più che plausibile leggendo la sentenza: con la comunicazione del dato erroneo l’istituto di credito ha provocato alla società di informatica un abbandono di quelli che erano stati i progetti di sviluppo basati sui finanziamenti che certamente avrebbe ottenuto in condizioni normali senza l’alterazione del dato sbagliato. Nonostante che l’istituto di credito si sia difeso lamentando un generico calo di profitti nella new economy, il Tribunale ha stabilito che con la sua condotta l’istituto di credito ha causato sia un danno emergente (cioè da una diminuzione del patrimonio) che un lucro cessante (ovvero un mancato guadagno che la società di informatica avrebbe potuto al contrario conseguire, in condizioni normali). La sentenza rispecchia sostanzialmente una conseguenza della violazione di quanto sancito  all’art. 11 del Testo Unico sulla privacy, il quale stabilisce che i dati personali oggetto di trattamento devono essere “esatti”. Ciò perché evidentemente l’erroneità può cagionare dei danni, ed è proprio il caso di dire che in questa vicenda “qualcuno ne ha fatto le spese”….

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