Internet e stampa clandestina

11/06/2012
di roberto

Dopo la sentenza assolutoria resa il 10 maggio scorso dalla Corte di Cassazione, il web ha tirato un sospiro di sollievo: Il Collegio, infatti, riattualizzando un reato ormai desueto, quello di stampa clandestina, era chiamato a pronunciarsi sull’applicabilità della fattispecie alle pubblicazioni on line. Con evidente riverbero sulla libertà di espressione: il timore era che un’eventuale condanna potesse estendere gli obblighi connessi alla pubblicazione dei periodici cartacei anche ad altri mezzi, accessibili attraverso Internet, gettando un´inquietante ombra censoria sul diritto, di matrice costituzionale, di libera manifestazione del pensiero. Diritto incontestato nello stato democratico, ma certamente restituito a nuovo vigore dalla diffusione delle tecnologie telematiche, che ne hanno offerto, effettivamente, a chiunque, l’esercizio diretto. La democratizzazione dell’accesso ai mezzi di comunicazione, prima espressione della cittadinanza virtuale suscettibile di immediata eco anche nella società civile “reale”, rappresenta un nervo scoperto per il popolo del web, che difende strenuamente il diritto (“vecchio”) nella sua nuova modalità di esercizio. Fuori dai grandi circuiti, praticamente senza spese, ognuno può crearsi uno speakers´ corner virtuale, per condividere opinioni, iniziative, passatempi, arte. Gli internauti assistono con timore ad ogni tentativo di incanalare, se non proprio fermare, il flusso incontrollato di informazioni quotidianamente immesse in rete, considerando la libertà di manifestazione del pensiero prevalente su qualunque altro diritto possa accidentalmente venirne travolto (si pensi alla reputazione, laddove si configuri la diffamazione on line, o al fascio di problematiche insite nella divulgazione di opere coperte da diritto d’autore).
In realtà, anche una pronuncia di condanna non avrebbe avuto, probabilmente, un impatto generalizzato. La Corte di Cassazione era infatti chiamata a pronunciarsi sulla configurabilità del reato in capo ad un soggetto – giornalista, peraltro – che aggiornava periodicamente una “testata” che si auto qualificava come giornalistica. Fattispecie peculiare non largamente ed indiscriminatamente estensibile.
Editoria onlinePer focalizzare il problema, in attesa che escano le motivazioni della Corte, occorre riassumere brevemente la normativa che regola l´obbligo di registrazione delle pubblicazioni a carattere giornalistico e periodico muovendo dalle disposizioni sulla stampa contenute nella legge n. 47/1948. La norma ora richiamata, all´art. 1, definisce stampe o stampati “tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione.” Rientrano pertanto nell´ampio concetto di stampa diversi prodotti editoriali, tra i quali sono compresi non solo quelli pubblicati con cadenza periodica (quotidiani, settimanali, mensili ecc.) ma anche le pubblicazioni che non hanno carattere di periodicità, ad esempio i libri. La norma dispone altresì, all´art. 2, che tutte le pubblicazioni a stampa riportino indicazioni della cosiddetta gerenza: il cenato articolo, rubricato “Indicazioni obbligatorie sugli stampati” prevede infatti che “Ogni stampato deve indicare il luogo e l´anno della pubblicazione, nonché il nome e il domicilio dello stampatore e, se esiste, dell´editore. I giornali, le pubblicazioni delle agenzie d´informazioni e i periodici di qualsiasi altro genere devono recare la indicazione: del luogo e della data della pubblicazione; del nome e del domicilio dello stampatore; del nome del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile. All´identità delle indicazioni, obbligatorie e non obbligatorie, che contrassegnano gli stampati, deve corrispondere identità di contenuto in tutti gli esemplari“. Gli articoli successivi della legge 47/1948, segnatamente gli art. 3 e 5, pongono una prima importante differenza, tra gli stampati, fondata sul carattere periodico degli stessi, stabilendo che solo questi ultimi devono assolvere ulteriori obblighi inerenti l´individuazione del direttore responsabile (“Ogni giornale o altro periodico deve avere un direttore responsabile” comma 1 art.3 – Direttore Responsabile -) e la registrazione presso il Tribunale (Art. 5 – Registrazione “Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale…”). Tanto disposto per la stampa, si è creato un vivace dibattito giurisprudenziale sulla equiparazione delle testate on line a quelle cartacee, con conseguente onere di assolvimento degli obblighi previsti per le seconde anche in capo alle prime. Il dubbio si sarebbe dovuto risolvere attraverso l’ausilio del legislatore, il quale è effettivamente intervenuto nel 2001, con la legge 7 marzo 2001, n. 62 “Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416”, che, però, non ha avuto gli effetti dirimenti che ci attendeva. La modifica normativa è stata attuata sostituendo alla nozione di “stampa” quella di “prodotto editoriale”, comprendendo così ogni mezzo di pubblicazione, anche in formato digitale. La definizione di “prodotto editoriale” così introdotta comprende “il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici”  La legge n. 62/2001 precisa poi che “Al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47“(art. 1 c. 3). Il che  ad una prima lettura parrebbe stare a  significare che anche i siti web si atteggiano a prodotto editoriale, stante l´ampia definizione ora riferita, e dovrebbero riportare le informazioni sulla gerenza prima evidenziate, con gli adeguamenti del caso. La norma prosegue: “il prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall’articolo 5 della medesima legge n. 47 del 1948” Cioè sarebbe soggetto all´obbligo di registrazione presso il Tribunale. La normativa, pertanto,  distingue due tipi di prodotto editoriale, quello con periodicità regolare e quello che non ha periodicità, imponendo solo al primo tipo l´obbligo di registrazione presso il Tribunale. La registrazione, tuttavia, impone un ulteriore obbligo: per procedervi occorre munirsi di un direttore responsabile, che deve essere un giornalista iscritto all´albo. A ciò si aggiunge, a complicare ulteriormente il quadro che l´art. 16 la legge 62/2001 prevede un altro tipo di registrazione, che riguarderebbe, tuttavia, secondo alcuni,  invece, le sole imprese editoriali. La norma richiama la delibera 236/2001 AGCOM, ai fini dell´individuazione dei soggetti tenuti all´iscrizione al ROC, ossia al Registro degli Operatori di Comunicazione. L´articolo, che si riporta, recita: “Art. 16 (Semplificazioni) 1. I soggetti tenuti all’iscrizione al registro degli operatori di comunicazione, ai sensi dell’articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5), della legge 31 luglio 1997, n. 249, sono esentati dall’osservanza degli obblighi previsti dall’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. L’iscrizione è condizione per l´inizio delle pubblicazioni”. Secondo altri l´iscrizione al ROC sostituisce quella presso il Tribunale.
I commentatori più attenti si sono domandati da subito se fosse ragionevole estendere la normativa ora riportata anche a pubblicazioni effettivamente assimilabili al prodotto editoriale per come ora delineato, ma nate con finalità  e aspirazioni diverse dalla testata giornalistica: i blog, ad esempio. Si può davvero obbligare un privato cittadino, che dispone di pochi mezzi e che gestisce poco più che un “diario telematico” a munirsi di direttore responsabile – iscritto all’ordine dei giornalisti – e a registrare la testata presso il tribunale? Rendere così difficoltoso l’accesso alla rete di comunicazione, di per sé alla portata di chiunque, non rischia di vanificare la democratizzazione dell’informazione e di depauperare i cittadini di una libertà, quella di manifestare il proprio pensiero -con mezzi adeguati al momento storico – ormai acquisita?
Ma non finisce qui: una successiva operazione legislativa, volta a fare chiarezza, ha generato ancora più dubbi. L’intervento è consistito nell’introduzione, all´art. 7, c. 3, del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, della seguente locuzione: “La registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62“. L’articolo parrebbe risolvere le polemiche sorte intorno all’obbligo di registrazione, ponendo tale onere solo in capo a quelle “testate” che intendono avvalersi di aiuti statali. Tuttavia la collocazione della norma nel decreto volto a disciplinare l’e-commerce e riferito alle società dell’informazione (quindi: imprese?) ha mescolato ancora più le carte. Secondo i più si è introdotta una doppia registrazione: sono tenuti ad iscriversi al ROC solo gli editori di pubblicazioni on line che intendano avvalersi dei finanziamenti statali per l´editoria. Mentre sono tenute ad iscriversi presso i Tribunali le testate (non gli editori, quindi) che abbiano il carattere della periodicità. Il coordinamento tra le norme, che non brillano per chiarezza, non è immediato e non sono state univoche le interpretazioni sul punto. Secondo alcuni l´iscrizione dell´editore al ROC esonera dall´iscrizione della testata (ovviamente se periodica) presso il Tribunale, mentre secondo altri i due tipi di registrazione si muovono su piani distinti e il richiamo operato dall´art 16 della legge 62/2001 all´art. 5 della legge 47/1948 sarebbe pleonastico, non avendo le imprese editoriali cittadinanza nella legge sulla stampa.
Non sussiste, invece, alcun obbligo di registrazione per le pubblicazioni non periodiche, occorrendo soltanto che siano riportate le indicazioni previste dall´art. 2 della legge del ´48 (alle quali si aggiunge il numero di partita IVA, secondo l´art. 35, c. 1, del DPR 633/72, come modificato nel 2001).
In estrema sintesi: abbiamo due tipi di “prodotti editoriali”: testate periodiche (ossia contraddistinte da un “titolo” che le identifica ed aggiornate con cadenza temporale regolare) e non periodiche. Le seconde sono obbligate ad indicare le informazioni sulla gerenza. Le prime, invece, sono anche destinatarie dell´obbligo di registrazione presso il Tribunale. Il successivo intervento normativo, attuato con l´introduzione dell´art. 7 comma 3 del Dlgs 70/2003, non contribuisce a fare chiarezza: sebbene con esso si ponga una deroga, disponendosi che la registrazione della testata sia necessaria solo laddove si voglia accedere a provvigioni o finanziamenti statali, non è chiarissimo a quali categorie di soggetti la norma si rivolga.
Il caso sottoposto al vaglio del Tribunale di Modica, esitato nella recente pronuncia di legittimità, ha avuto un esito infausto, sfociando nella condanna per stampa clandestina. Il Tribunale stesso, comunque, non sembra ritenere che l´obbligo di registrazione (dalla cui omissione discende il reato) sia applicabile a ogni pubblicazione sul web, ma lo circoscrive, escludendo blog e forum -seppure con una definizione che desta qualche perplessità – alle sole pubblicazioni contraddistinte da una testata, aggiornate periodicamente e che rispondano agli altri indici individuati dalla giurisprudenza di legittimità, quali il diffondere informazioni legate all´attualità e l´impiegare giornalisti professionisti.  Il ragionamento seguito dal Tribunale, che ha condotto ad un esito ora ribaltato dalla Cassazione, si differenzia da altre pronunce sul punto sia per aver considerato la punibilità della condotta frutto di un vero e proprio richiamo legislativo e non, invece, frutto di una applicazione analogica “in malam partem” inammissibile nel diritto penale, sia per aver fornito una interpretazione del tutto particolare dell´articolo 7 del Dlgs 70/2003. E´ probabilmente questo il punto della pronuncia, pure confermata in appello, che desta maggiori perplessità. Il Giudice mostra di ritenere la norma non di interpretazione autentica e riferita solo ad imprese commerciali (“società dell´informazione” e “prestatori di servizi”), non ai “destinatari di servizi” ossia a soggetti che svolgano l´attività di pubblicazione senza farne un’attività economica e comunque a scopo non professionale. Il giudicante non sembra quindi, da un lato, definire adeguatamente cosa si intenda per “prodotto editoriale” – se cioè esso scaturisca sempre da una attività commerciale – dall´altro non pare aver tenuto in adeguata considerazione la genesi dell´articolo 7 sopra richiamato. Infatti era proprio l´ambiguità della formulazione della legge 62/2001, che non lasciava chiaramente intendere a quali soggetti fosse destinata ad indurre il legislatore a delegare al Governo, seppure attraverso la legge comunitaria 2001, un decreto legislativo con questo principio e criterio direttivo: “rendere esplicito che l´obbligo di registrazione della testata editoriale telematica si applica esclusivamente alle attività per le quali i prestatori di servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001”. Muovendo da questi elementi, invece, si potrebbe giungere ad opposte conclusioni, considerando che ai soggetti “destinatari  dei servizi” (per riprendere la definizione del Tribunale) ossia che non svolgono attività commerciale attraverso la pubblicazione, anche periodica, di una testata, non si applica l´art. 7 Dlgs 70/2003, perché essi non sono mai stati destinatari di alcuna delle disposizioni sull´editoria on line. In altre parole: solo coloro che pubblicano testate sul web esercitando una attività commerciale sono tenuti ad iscriversi (al ROC e non al Tribunale, essendo la prima forma di registrazione sostitutiva della seconda), ma solo nel caso in cui vogliano accedere alle provvigioni. Altrimenti non sussiste alcun obbligo di iscrizione. L´articolo 7 del Dlgs precisa l´ambito di applicazione, ma non muta il novero dei destinatari, dell´art. 1 della legge 62/2001. Il che, peraltro, escluderebbe i non professionisti anche dalla possibilità di accedere alle provvigioni. Probabilmente la motivazione della Cassazione interesserà questi aspetti (finalmente chiarendoli) oppure, più banalmente, si concentrerà sull´impossibilità di applicare la sanzione aderendo alla tesi, già nota ad altre pronunce di merito, che considera il richiamo alle sanzioni predisposte per la stampa clandestina, frutto di estensione analogica in malam partem.
In realtà, che la Cassazione non abbia accolto l´equiparazione tra pubblicazioni stampate ed on line, non dovrebbe generare sorpresa. Alle pubblicazioni sul web già non erano state riconosciute estensibili né le garanzie in tema di sequestro né le norme – non applicabili sempre per il divieto di analogia in malam partem – riferite alle conseguenze penali che sarebbero dovute ricadere sul direttore responsabile per gli interventi offensivi dei commentatori.
L´equiparazione tra stampa e web non può portare all´estensione degli oneri e delle sanzioni e non delle garanzie. Pertanto, coerentemente, tale equiparazione non sembra avere asilo tout court nel nostro sistema. Tale assetto, tuttavia, appare insoddisfacente. Senza velleità censorie, occorre constatare come troppi diritti, che con la libertà di espressione interferiscono, restino privi di qualsiasi tutela. Soprattutto laddove la pubblicazione – diversamente da quanto avvenuto nel caso di specie – non sia assistita da adeguata professionalità.
Il popolo di internet, però, sembra accogliere positivamente tale impostazione, che seppure lo lascia scoperto innanzi alle iniziative cautelari della magistratura, gli consente, attraverso un sistema agile e libero da costi e pastoie burocratiche, di estendere al massimo grado la libertà di espressione.
Invece, in ambito privacy, viene seguito il meccanismo opposto proprio per garantire la libertà di espressione sul web: il Dlgs 196/03, infatti, equipara la posizione del giornalista a quella di chiunque eserciti la libertà costituzionale di manifestazione del pensiero, anche attraverso estrinsecazioni letterarie o artistiche. A questa amplissima sfera di attività le norme preposte alla tutela della riservatezza si applicano nella versione largamente derogatoria prevista per i giornalisti. Con la differenza che i punti fermi validi per l´ambito giornalistico devono essere adattati a queste assai più varie attività umane. Il che impone una costante attività di interpretazione ed adeguamento. E´ proprio la normativa in tema di privacy, allo stato, che appare quella più attenta a mediare tra i diritti di libertà sopra cennati e il diritto all´identità personale, che costituisce uno dei nodi più delicati della materia. La pubblicazione on line, infatti, laddove non integri una vera e propria fattispecie di reato (si pensi alla diffamazione), è caratterizzata da una “permanenza” estranea e sconosciuta alla stampa, le cui notizie sbiadiscono e sfumano con il naturale decorso del tempo. Il materiale pubblicato on line, invece, resta disponibile senza termine e costantemente rivitalizzato dai motori di ricerca. Le pagine web non ingialliscono. Tuttavia una pubblicazione legittima, ma risalente, è idonea a ledere l´identità di un soggetto che in tali notizie non si riconosce più. Il tema, che trova un punto di equilibrio nel riconoscimento del diritto all´oblio, trova miglior terreno per svilupparsi proprio nella normativa che tutela la riservatezza. Ed uno strumento di tutela più agile, laddove se ne domandi l´applicazione all´Autorità Garante.
D´altro canto la giurisprudenza di legittimità ha intrapreso un percorso coerente e definito, volto a sottrarre la pubblicazione on line, per quanto possibile, all´applicazione  delle regole sulla stampa, in coerenza con quanto -maldestramente- canonizzato dal legislatore. Allo stato, quindi, mentre permane una normativa confusa ed inadeguata al mezzo, sembra  che le contrapposte esigenze che si contendono il campo (almeno per quanto riguarda libertà di espressione ed identità personale) dovranno trovare un punto di incontro e di equilibrio proprio sul terreno della  privacy (materia chiamata in causa, peraltro, anche per bilanciare gli interessi coinvolti in tema di violazioni del diritto d´autore -si pensi al caso peppermint). E´ la privacy, dunque, che passando dalla tutela della riservatezza alla tutela dell´identità digitale giunge a farsi unico ed autentico baluardo della tutela della libertà di espressione telematica, consentendole di svolgersi in armonia con altri interessi coinvolti, senza ledere i diritti altrui; in tal modo la sottrae ai rischi insiti nella prevaricazione e nel travalicamento dei limiti di civiltà, che possono condurre, per reazione, ad avallare spinte censorie, che, nel tentativo di contenerla, potrebbero neutralizzare questa nuova forma di manifestazione del pensiero e lo speculare diritto di informazione che dalla stessa si sta generando (e, in tale genesi) nuovo anch´esso.

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