L’opposizione degli Stati membri agli emendamenti: una clamorosa marcia indietro?
A quanto pare le pesanti pressioni delle grandi imprese statunitensi e del governo americano potrebbero portare ai risultati (da loro) sperati.
Se veramente Parlamento e Commissione prendessero quella via, i cambiamenti sarebbero più che ben accolti da multinazionali che vivono grazie ai milioni di trattamenti di dati personali eseguiti – Facebook, per fare un esempio alquanto esplicativo – senza dimenticare l’amministrazione Obama che si è detta preoccupata delle evoluzioni in relazione al progetto di Regolamento.
Washington infatti è preoccupato che alcune delle misure più restrittive fossero specificamente indirizzate ad aziende americane, che la possibilità di multare le società fino al 2% del loro fatturato globale nel caso di violazione sia una misura chiaramente volta a punire i colossi del web a cui gli USA danno i natali e che tante difficoltà sembrano avere con la concezione europea di privacy.
E’ infatti noto come la privacy (e la proprietà dei dati personali) siano considerati negli USA una questione riguardante i consumatori ed abbiano una conseguente tutela.
In Europa è un Diritto Fondamentale.
Ma diciamolo: queste preoccupazioni sono state ben trasmesse.
Le “pressioni” (si legga intense attività di lobbying) sui MPE di varie nazionalità non sono certo mancate ed anzi sembrano aver influenzato almeno nove Stati Membri, i quali si sono opposti a diverse misure per paura che potessero costituire insuperabili ostacoli per la crescita delle compagnie che fanno largo uso dei dati personali. Tra questi Belgio (!), Germania, Inghilterra, hanno reso evidente il loro malcontento e disaccordo per quanto riguarda l’onerosità di alcuni degli obblighi imposti dal (futuro?) Regolamento.
A quanto pare si è diffusa l’opinione che sia necessario provvedere alla redazione di una nuova bozza che riduca sensibilmente i carichi e gli obblighi per le imprese, soprattutto quelle con sede extra-europea.
Infatti gli Stati Membri più attenti alle esigenze delle compagnie detentrici di-notevoli- interessi, vedrebbero con favore una proposta di Regolamento che preveda obblighi ed oneri in virtù del principio di valutazione del rischio per i dati personali trattati; approccio che, sempre secondo i suddetti stati, libererebbe piccole e medie imprese da diversi carichi ed adempimenti invece imposti nell’attuale bozza.
L’oramai notissima Viviane Reding si è detta disponibile ad emendare il test vigente per ricercare quell’equilibrio e “alleggerimento” tanto necessari per non gravare eccessivamente sulle piccole e medie imprese.
Se questo approccio volto ad uno snellimento in ragione di un futuro e più rapido sviluppo può essere condivisibile, non altrettanto si può dire della volontà di eliminare alcune delle novità più importanti.
Si parla di un’opposizione delle grandi aziende a punti ritenuti invece fondamentali: a partire dall’obbligo del preventivo ed esplicito consenso da parte dell’interessato fino al tanto discusso diritto all’oblio.
Ma non finisce qui.
Com’è noto l’Inghilterra sta spingendo molto affinchè la nomina della figura (centrale) del Data ProtectionOfficer – il nostro responsabile della protezione dei dati personali- venga resa solo opzionale e non più obbligatoria ed ancora la Germania richiede che vengano snellite le regole che disciplinano il trattamento dei dati personali da parte delle pubbliche istituzioni.
Inutile dire come i rappresentanti dell’American Chamber of Commerce si siano detti favorevoli ad un Regolamento che si basi su di un principio di valutazione dei rischi, che a loro parere “proteggerebbe in maniera effettiva ed efficace i dati personali ed allo stesso tempo ridurrebbe gli oneri amministrativi e la burocrazia”.
Due le conclusioni che si possono legittimamente trarre: l’attività di lobbying paga, i passi avanti (accompagnati anche dai contenuti elogi fatti dal Garante Europeo) potrebbero essere più piccoli di quello che sembravano.