La diffusione a mezzo “web”: il gap normativo
E’ sotto gli occhi di tutti ed anche i più scettici, non possono che prenderne atto: il web è divenuto centro nevralgico dell’informazione. Una testata giornalistica deve essere pensata e strutturata per essere fruita su più piattaforme tecnologiche, dato che la lettura di un “giornale” trova spazio sempre maggiore nel mondo virtuale.
Eppure l’integrazione, così fortemente sentita in ambito produttivo e di utilizzo, non trova il suo riflesso in ambito normativo dove, al contrario, le discrasie tra stampa tradizionale e stampa online non facilitano di certo i professionisti del settore.
Quando un giornalista redige e pubblica un articolo sulle pagine di sito web – sebbene esso sia riferibile ad una testata giornalistica – riceve una tutela ben diversa su diritto di cronaca e di critica, rispetto a quando firma un’edizione cartacea. Le aporie del sistema giuridico italiano in materia di stampa online sono evidenti.
La Suprema Corte di Cassazione, Sez. V, nella recentissima sentenza n.10594/14 ha affrontato in modo chiaro ed esemplificativo la questione “stampa digitalizzata”, evidenziando l’inadeguatezza della normativa sulla tutela della stampa, insufficiente ad incardinare e strutturare problematiche che si accompagnano all’uso di nuove tecnologie e che impongono soluzioni altrettanto nuove, soprattutto alla luce dei principi elaborati dalle Corti UE.
L’assunto di partenza, ormai consacrato nella Giurisprudenza della Corte di Cassazione, è quello della non assimilabilità tra stampa tradizionale e stampa online, ribadendo quindi la conseguente inapplicabilità delle stesse garanzie costituzionali predisposte dall’art. 21 cost., ivi compreso il divieto di sequestro. Prima facie, la prospettiva di partenza della pronuncia potrebbe apparire caratterizzata da un rigido formalismo. In realtà, le argomentazioni successive, snodano e svelano ben altro.
Gli Ermellini precisano come i padri costituenti avessero ben chiaro che la democraticità di un ordinamento è direttamente proporzionale al grado di tutela ed attuazione della libertà di manifestazione del pensiero, e per questo ritennero basilare tutelare costituzionalmente la stampa. I giudici sottolineano, tuttavia, come il concetto ivi richiamato, fosse concepito e ricalcato esclusivamente sull’unico sistema giornalistico allora in uso, e quindi quello in formato cartaceo. “L´assunto rappresenta una rilevante conferma della non assimilabilità del mondo telematico a quello della carta stampata” e, ciò è ulteriormente corroborato “da una lettura ortopedica della L. 7 marzo 2001, n. 62” – afferma la Corte di Cassazione.
Infatti, nel testo di legge richiamato, non vi sono disposizioni che consentano di applicare alla stampa online le norme previste dalla legge n.47 del 1948 per la stampa tradizionale. Il Legislatore infatti, con l’intervento del 2001, si è limitato ad introdurre la registrazione dei giornali online solo per ragioni amministrative, mancando invece l’esplicita estensione delle regole sopra citate, che restano così valide esclusivamente per la carta.
Tuttavia, l’interpretazione del giudice deve svolgersi sempre alla luce del dettato costituzionale. Pertanto la garanzia della libertà di pensiero, sancita al primo comma dell’art.21 cost., è comunque la cartina tornasole attraverso cui leggere il fenomeno dei media diversi dalla stampa cartacea. Il giudice, chiamato ad applicare il sequestro preventivo, “dovrà avere consapevolezza di stare sequestrando non “cose” ma per così dire informazioni e/o opinioni” pertanto “in tema di diffamazione, il sequestro preventivo di un mezzo di comunicazione diverso dalla stampa in tanto potrà essere disposto, in quanto non emerga ictu oculi la probabile sussistenza di un mezzo di giustificazione e in particolare quella ex art. 51 c.p. sub specie del diritto di cronaca e/o di critica”. La Suprema Corte di Cassazione, coglie l’occasione per evidenziare come sia la stessa struttura del mezzo su cui la comunicazione è registrata, a rendere impossibile ed addirittura impraticabile l’utilizzo del termine stesso “sequestro”, osservando come da un punto di vista tecnico, non possa che realizzarsi attraverso il suo oscuramento.
Invero è la diversità ontologica e strutturale del mezzo a giustificare trattamenti e soluzioni diversificate.Ulteriore limite evidenziato nella sentenza in esame, e richiamato a sostegno della dissimilarità tra le due tipologie di diffusione, viene individuato nel divieto di analogia in malam partem. Infatti, per quello che concerne in particolare la posizione del direttore di un giornale online, si è chiarito che questi non può rispondere, ex art. 57 c.p., di omesso controllo sui contenuti pubblicati, non solo per l´impossibilità di impedire le pubblicazioni di contenuti diffamatori “postati” direttamente dall´utenza, ma anche in ossequio ai principi di determinatezza, tassatività, frammentarietà, che connotano il diritto penale sostanziale.
Una volta esposte le ragioni giuridiche di un tale assunto ed affermata la potenziale legittimità dell’adozione di un sequestro preventivo, gli Ermellini proseguono nell’esprimere un chiaro monito al Legislatore, sottolineando, come in tema di stampa online “si viene a creare una “situazione di tensione” con il principio di eguaglianza, di cui all´art. 3 Cost.”, una differenza non solo formale, ma anche e soprattutto sostanziale, definita, con un’espressione suggestiva, “eternità mediatica”.
Diversamente, da quanto avviene per una notizia diffusa a mezzo stampa, la notizia immessa in rete rimane nella disponibilità di un numero indefinibile di utenti sine die, pertanto, la diffamazione realizzata sul web assume una lesività maggiormente incisiva. “La distinzione (e l’esclusione del mondo del web dalle tutele riservate alla stampa) non è dunque né irragionevole, né iniqua,” – afferma la V Sezione della Corte di Cassazione – “fermo restando che un intervento del legislatore (anche a livello costituzionale, come “tentato” negli anni passati) sarebbe quanto mai auspicabile.”
Il percorso logico – giuridico che si estrinseca nella sentenza ben individua il gap normativo, e palesa le incongruenze sussistenti tra due situazioni di fatto, il cui unico comune denominatore è costituito dalla libertà di manifestazione del pensiero: notizie di cronaca, denunzie civili, manifestazioni critiche, non assumono una diversa valenza in ragione del veicolo che le supporta.
La diffusione a mezzo stampa o a mezzo “web”, costituiscono comunque espressione di una libertà, ed in quanto tali, meritevoli di tutela, ma una soluzione tesa alla riconduzione ad un unicum normativo di due situazioni che, in fatto, sono caratterizzate da diverse attitudini e potenzialità, rischierebbe di incorrere in una semplificazione altrettanto irragionevole.
L’esortazione avanzata della Corte di Cassazione, merita di essere epitetata come l’unico atteggiamento sostanzialmente ragionevole, il cuore della questione è centrato: l’informazione è ormai prevalentemente digitalizzata, passa attraverso testate giornalistiche online, blog, social network e quant’altro, ma il Legislatore italiano, continua a farsi protagonista di un lassismo normativo che oltremodo lascia sempre più stupefatti.