Comunicazioni verso le PPAA: l’allegato alla PEC non risulta visionabile
La posta elettronica certificata (PEC) ha prodotto un radicale mutamento nel processo di innovazione e riorganizzazione della pubblica amministrazione (PA). È ormai noto che il D.lgs. n. 185/2008, convertito con modificazioni dalla L. n. 2/2009, ha reso obbligatorio per tutte le società l’uso della PEC e che le caselle di PEC hanno una funzione giuridicamente rilevante. La PEC, ex art. 48 del D.lgs. n. 82/2005, è il nuovo sistema che consente di inviare e-mail con valore legale equiparato ad una raccomandata con ricevuta di ritorno, rappresentando, quindi, uno dei mezzi di comunicazione e di trasmissione di documenti, informazioni e dati aventi valore legale tra le società e la PPAA e/o tra le società medesime.
Di particolare importanza nell’ambito dell’e-government è l’art. 5-bis del D.lgs. n. 82/2005 introdotto dal D.lgs. n. 235/2010 il quale prevede che la presentazione di istanze, dichiarazioni, dati e lo scambio di informazioni e documenti, anche a fini statistici, tra le imprese e le PPAA devono avvenire esclusivamente attraverso le nuove tecnologie dell’informazione e le PPAA devono, con le medesime modalità, adottare e comunicare atti e provvedimenti amministrativi nei confronti delle imprese.
Tale novità è rivoluzionaria in quanto da un lato ha snellito la tempistica burocratica e semplificato diverse procedure amministrative con particolare favore sia per le imprese che per le PPAA, dall’atro ha prodotto diversi problemi. Sono, infatti, tante le questioni concernenti la validità delle notifiche e delle comunicazioni effettuate tramite PEC e una di queste riguarda la valenza dell’allegato della PEC non apribile e visionabile dal destinatario.
Cosa succede se il documento allegato alla PEC risulta non visionabile dal ricevente?
Ebbene, la trasmissione di atti e documenti attraverso le caselle di PEC formano oggetto di attività procedimentale nelle forme e nelle modalità specificate al capo IV del D.lgs. n. 82/2005 e s.m.i. ed alle regole tecniche adottate ai sensi dell’art. 71 del D.lgs 82/2005 e s.m.i., ovvero il D.P.R. n. 68 dell’11 febbraio 2005 ed il D.P.C.M. del 13 novembre 2014. In particolare, è noto che ai fini della legge, il documento informatico trasmesso tramite PEC si considera spedito dal mittente se inviato al proprio gestore e si intende consegnato al destinatario quando è accessibile nella casella di PEC da questi dichiarata e messa a disposizione dal gestore del destinatario. Le ricevute di accettazione e consegna, rilasciate rispettivamente dal gestore del mittente e dal gestore del destinatario, costituiscono prova dell’avvenuta presa in carico e dell’avvenuta consegna del messaggio di PEC al destinatario.
Tuttavia, se il destinatario del documento risulta incapace di aprire il file e quindi di visionarlo si pone il problema della validità dell’invio e della valenza dell’allegato alla PEC. Tale questione risulta di particolare problematica quando il messaggio è diretto alla PA e la PEC contiene come allegato una dichiarazione, una istanza o comunque un documento necessario ad avviare un procedimento amministrativo. In tale caso, quindi, com’è possibile considerare il procedimento amministrativo intrapreso dal privato e quali sono i poteri esercitabili dalla PA di fronte ad un problema tecnico di tale portata?
Il suddetto quesito è stato affrontato di recente dalla giurisprudenza amministrativa, in particolare dal TAR di Trieste, sez. I, che con la sentenza 03.12.2014 n° 610 ha fatto luce su tale punto.
L’autorità competente era stata chiamata a giudicare un provvedimento concernente il divieto di prosecuzione di un’attività oggetto di Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) disposto, fra l’altro, perché uno dei file digitali contenenti la documentazione allegata alla segnalazione inviata tramite PEC non risultava apribile e dunque visionabile.
La ricorrente, quale mittente dei documenti, lamentava l’inosservanza della disciplina di cui al D.lgs. 82/2005 e s.m.i., nonché della disciplina applicabile. Inoltre, denunciava la violazione dei principi del giusto procedimento, di buona fede, buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa in quanto, a dire della stessa, la PA, quale destinatario dei documenti inviati tramite PEC e non leggibili, avrebbe dovuto avvalersi dei poteri istruttori chiedendo la produzione – anche in formato cartaceo – dei documenti mancanti, invece dei poteri inibitori utilizzati.
La PA, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto del ricorso sostenendo che la SCIA inviata dalla società a mezzo PEC non era leggibile e quindi inefficace. Secondo la PA, la non leggibilità del documento non poteva che essere considerata come incompletezza documentale, pertanto la PA non poteva domandare l’integrazione del documento, ma esercitare esclusivamente il proprio potere inibitorio.
Il tribunale ha risolto la questione sottoposta alla sua attenzione chiarendo che nel caso in esame si applica il principio della presunzione di conoscenza analoga a quello previsto, in tema di dichiarazioni negoziali, dall’art. 1335 del codice civile. Applicando il suddetto principio, nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione della PEC e di consegna della stessa nella casella del destinatario si presume che quest’ultimo sia venuto a conoscenza del contenuto del messaggio senza che risultino necessarie ulteriori condizioni.
Secondo l’autorità, non può dirsi altrimenti in quanto nel caso di invio di una PEC e considerando la relativa ricevuta di consegna, il mittente è incosciente delle difficoltà di cognizione del messaggio da parte della PA destinataria, sicché spetta a lei, in un’ottica collaborativa ed in applicazione del principio di leale collaborazione, rendere cosciente il mittente della mancanza di contenuto della comunicazione inviata mediante l’utilizzo dello strumento telematico in argomento.
Pertanto, nel caso in esame, la PA ricevente la SCIA non visionabile avrebbe dovuto informare la società del disguido riscontrato in quanto, a differenza delle doglianze avanzate dalla PA, la richiesta del documento non può dirsi una richiesta di integrazione documentale perché i documenti erano stati già inviati secondo legge, ma una semplice sollecitazione alla riproduzione degli stessi in formato visionabile dall’Amministrazione.
E’, a dire della scrivente, pienamente condivisibile l’assimilazione, forgiata dalla pronuncia sopra indicata, fra la presunzione di cui all’art. 1335 cc e la presunzione indicata dall’art. 48 del D.lgs. n. 82/2005 che appunto viene a determinarsi nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione e di consegna della PEC alla casella del destinatario. È infatti impensabile che il mittente debba risultare responsabile della mancanza di consegna del documento inviato perché non apribile e visionabile per cause a lui non conosciute, come appunto può essere il problema tecnico del destinatario. Se si fosse scelto di seguire la soluzione opposta, in più, la stessa avrebbe contrastato i basilari principi di civiltà giuridica, collidendo con alcune disposizioni presenti nel nostro sistema giuridico che dettano le linee guida del sistema PEC in esame che presenta tutti i caratteri dell’atipicità, ma non solo, avrebbe contrastato anche con la materia riguardante le comunicazioni cartacee, in particolare l’invio tramite raccomandata A/R rivoluzionando la valenza della ricevuta di ritorno.