Jobs Act: dal controllo a distanza alla riforma del Codice Privacy
Come già anticipato dall’uscita della legge delega del dicembre 2014, tra i vari decreti legislativi che attueranno il Jobs Act ci sarà anche quello che prevederà una nuova disciplina dei controlli a distanza sui lavoratori (videosorveglianza ma non solo). La riforma si rende necessaria anche per un avanzamento della tecnologia rispetto a quanto previsto e disciplinato a suo tempo dallo Statuto dei Lavoratori, come auspicato dalle imprese. Tuttavia, la modifica dello Statuto deve adattarsi sia alle esigenze produttive del datore di lavoro che alla tutela della privacy del lavoratore.
Si legge, infatti, all’art. 1 comma 7 della legge 183/2014 che «la revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro», tenendo conto dell’evoluzione tecnologica, deve bilanciare tra «le esigenze produttive e organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza dei lavoratori».
Nonostante un’azienda possa monitorare con un alto grado di dettaglio tutto il traffico internet in entrata ed in uscita, la sua discrezione trova un limite negli articoli 4 e 8 dello Statuto dei lavoratori che statuiscono rispettivamente il divieto di controlli a distanza e il divieto di indagine sulle opinioni personali. Inoltre, mettendo mano allo Statuto non si può prescindere dalla legge in materia di Privacy: in ottemperanza a principi normativi derivanti dal diritto europeo, il datore di lavoro potrebbe esercitare un controllo sul proprio dipendente solo dopo aver acquisito un consenso scritto e garantendo l’applicazione di strumenti che rispettino la necessità, la pertinenza, la proporzionalità e la non eccedenza del trattamento dei dati personali. Ciò significherebbe rendere il datore di lavoro e l’amministratore giuridicamente direttamente responsabili di un controllo sui lavoratori eccessivo o non necessario, rischiando di danneggiare l’utilità perseguita dagli stessi imprenditori.
La giurisprudenza degli ultimi anni si è più volte pronunciata sull’argomento, estendendo l’interpretazione dei controlli a distanza ammissibili giuridicamente e distinguendo trai i controlli sull’attività dei dipendenti e i controlli difensivi: i primi rimangono inammissibili, avendo per finalità un controllo a distanza sull’efficienza e diligenza dell’attività del lavoratore; i secondi hanno per oggetto la prevenzione di atti illeciti commessi al di fuori dell’adempimento delle mansioni. Un sospetto “fannullone” quindi non può essere monitorato né con impianti audiovisivi, controllo della posta elettronica o di accessi internet aziendali, né con qualsiasi altro mezzo in forma occulta, non immediatamente individuabile dal lavoratore.
E’, quindi, evidente che la legge delega del Jobs Act andrà ad aggiornare la nozione di strumenti di lavoro, includendo pc, smartphone, email, browser e badge, con la conseguenza che non saranno considerati strumenti di controllo vincolati all’art. 4, ma piuttosto soggetti alla legge sulla Privacy e agli interventi del Garante, comportando maggiori vincoli e responsabilità per il datore di lavoro.
Quanto detto può essere una chiave di lettura che interpreti il ritardo del legislatore nell’emanare il decreto attuativo in questione, concedendo priorità ad altri ambiti della riforma del mercato del lavoro caratterizzati da più immediati vantaggi per gli imprenditori, come i decreti legislativi del 5 marzo sugli ammortizzatori sociali e il contratto a tutele crescenti.