Videosorveglianza privata e applicazione della normativa privacy
Cosa succede se un privato, per tutelare la salute e la vita della sua famiglia e la propria, oltre la sua proprietà installa una telecamera di videosorveglianza presso l’abitazione, e l’angolo di ripresa include anche spazi pubblici e l’ingresso della casa di fronte? Il trattamento dei dati personali da parte del medesimo rientra nell’ambito dell’applicazione della direttiva 95/46/CE? Oppure ne è escluso essendo un trattamento “effettuato da una persona fisica per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico” ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della medesima direttiva?
Il caso è stato affrontato dalla Corte di Giustizia, con sentenza C-212/13, sottoposto alla medesima dalla Corte Amministrativa Suprema della Repubblica Ceca (Nejvyšší správní soud), che ha sospeso davanti a sé il procedimento instaurato dal Sig. František Ryneš contro la decisione della Corte Municipale di Praga (Městský soud) di rigettare il ricorso del sig. Ryneš, avvallando la decisione presa dall’Ufficio per la protezione dei dati personali (l’Urad pro ochranu osobních udaju).
In specifico il sig. Ryneš, vittima di reiterati attacchi da ignoti, aveva installato un impianto di videosorveglianza munito di telecamera fissa posta sul cornicione della propria abitazione, che permetteva di registrare continuativamente le immagini su disco rigido, con cancellazione mediante sovrascrittura al raggiungimento della capacità massima del disco medesimo. Le immagini non venivano visualizzate in diretta (in mancanza di monitor), ma potevano essere verificate successivamente in caso di necessità, solo da parte del sig. Ryneš. In occasione della rottura della finestra di casa mediante proiettile tirato con la fionda, grazie alle immagini, due sospetti venivano identificati, e le registrazioni acquisiste dalla polizia. Tuttavia uno dei soggetti individuati faceva ricorso all’Urad, chiedendo la verifica della legalità dell’impianto, a seguito del quale l’Autorità preposta aveva condannato il sig. Ryneš, in base alla legge nazionale n. 101/2000 sulla tutela dei dati personali, per le seguenti violazioni: aver raccolto i dati, in qualità di controller (ovvero il titolare del trattamento dei dati, nella legislazione italiana), senza il consenso dei soggetti ripresi in strada e che entravano nella casa di fronte, non aver informato i medesimi del trattamento, né delle finalità sottese ad esso e delle modalità utilizzate, oltre a non aver individuato i soggetti che potevano accedere ai dati né notificato il trattamento medesimo all’Urad.
La questione pregiudiziale sottoposta alla Corte di Giustizia, quindi, ruota intorno all’interpretazione dell’art. 3, par. 2, direttiva 95/46/CE, e tende a verificare se il trattamento effettuato dal sig. Ryneš per le finalità sopra individuare possa essere considerato un trattamento realizzato “da una persona fisica per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico”, escludendolo dall’applicazione della direttiva medesima.
Dopo una breve disamina delle disposizioni normative di riferimento ed a seguito dell’inquadramento del sistema di videosorveglianza realizzato nel caso concreto nell’alveo del trattamento di dati automatizzato ai sensi dell’art. 3, par. 1 direttiva 95/46/CE, la Corte evidenzia la necessità di interpretare in modo restrittivo la deroga di cui al par. 2 del medesimo articolo. Tale impostazione parte dalla considerazione che le disposizioni della direttiva che sono “suscettibili di ledere le libertà fondamentali ed in particolare, il diritto alla vita privata, devono necessariamente essere interpretate alla luce dei diritti fondamentali” disposti nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Uomo. Poiché secondo “giurisprudenza consolidata, la tutela del diritto alla vita privata garantito dall’articolo 7” di detta Carta “impone che le deroghe alla tutela dei dati personali e le limitazioni di queste ultime” debbano “avvenire nei limiti dello stretto necessario”, ne consegue che la deroga dell’art. 3, par. 2 della direttiva dovrà essere interpretata in senso ristretto.
Tale impostazione è avvallata dalle parole dello stesso articolo, là dove si richiama il “carattere esclusivamente personale o domestico”. In base a quando indicato dall’Avvocato Generale nelle proprie conclusioni, tali parole rilevano la necessità che sussista un “legame esclusivo” tra il trattamento posto in essere dal soggetto e le attività personali e domestiche. Nel caso in oggetto la videosorveglianza altrui ed il trattamento che ne consegue non presentano tale legame né con le attività personali (poiché non sono effettuate nella sfera esclusivamente personale della persona che le pone in essere) né con le attività domestiche. In quest’ultimo caso, se da una parte la tutela dell’inviolabilità dell’abitazione domestica e della medesima contro atti illeciti rientra nell’alveo delle attività della famiglia, dall’altra la ripresa di spazi pubblici da parte della famiglia stessa non può considerarsi attività domestica poiché essa coinvolgere persone che non hanno nessun legame con la medesima, ovvero soggetti che desiderano non essere videoregistrati ed identificati. La Corte pertanto esclude che il trattamento posto in essere dal sig. Ryneš rientri nella deroga di cui dell’articolo 3, par. 2, della direttiva, che nel caso dovrà essere applicata ad caso in oggetto.
Preme tuttavia evidenziare, come indicato dall’Avvocato generale nelle proprie conclusioni, che le finalità soggettive del trattamento, ovvero le intenzioni della persona di proteggere la proprietà, la salute e la vita dei proprietari della casa, sebbene non possano essere considerate parte determinante per individuare le caratteristiche di cui al par. 2 sopra indicato, acquisiscono comunque una propria rilevanza, se pur in un momento successivo, ovvero al momento dell’esame della legittimità del trattamento dei dati. Ciò significa che l’applicazione della direttiva tout court, determinata dall’inapplicabilità della deroga, non comporterà di default il pregiudizio degli interessi del sig. Ryneš, poiché permetterà di tener conto degli interessi legittimi di chi tratta i dati alla luce degli articoli 7, lettera f), 11, paragrafo 2, nonché 13, paragrafo 1, lettere d) e g), e di verificare se l’interesse legittimo del controller[1] prevalga sui diritti e libertà fondamentali dell’interessato. Ovviamente, la valutazione ed il contemperamento degli interessi in gioco, dovrà essere fatto dal giudice del rinvio, alla luce delle circostanze concrete.
Nota
[1] È stata utilizzata la dizione in inglese “controller”, al fine di non generare confusione sulla qualifica del soggetto, che deriva da una diversa accezione dell’uso del termine responsabile. Difatti il termine impiegato nella traduzione ufficiale della decisione della Corte è tale da poter ingenerare una interpretazioni errata. Nel nostro ordinamento, la figura del controller equivale a quella del titolare del trattamento dati mentre nella direttiva europea, controller viene tradotto ufficialmente in italiano quale responsabile del trattamento.
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