Jobs Act: ecco come funziona il controllo a distanza
Approvati in via definitiva i 4 decreti attuativi che chiudono il cerchio della Riforma del Jobs Act nel corso del Consiglio dei Ministri di venerdì scorso, 4 settembre.
Nel decreto recante Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione, è contenuta la norma sui controlli a distanza con il quale il Governo conferma la decisione di riformare l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori e di ammettere la raccolta d’informazioni di devices mobili senza autorizzazione sindacale.
Niente cambia per gli impianti di sorveglianza fissi, per i quali continuerà ad essere necessario un accordo sindacale o l’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro, e comunque rimangono ammissibili solo per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale.
La novità riguarda l’introduzione di una regolamentazione sugli strumenti di lavoro, come tablet e smartphone: il datore di lavoro può raccogliere informazioni mediante gli strumenti che servono al dipendente per lavorare, senza accordo sindacale o autorizzazione amministrativa. I dati raccolti, possono essere utilizzati dalle imprese “per le sole finalità connesse al rapporto di lavoro”, non escludendo l’impiego anche per fini disciplinari.
Tuttavia, per bilanciare l’interesse del datore di lavoro con i diritti del dipendente, il Governo ha introdotto due limitazioni alle imprese, per impedire un abuso di licenziamenti ed un’inappropriata ingerenza nella vita privata dei dipendenti: il rafforzamento del dovere d’informazione e il richiamo al rispetto del Codice Privacy.
In primo luogo, l’impresa dovrà dare al dipendente “un’informazione adeguata”, congrua e preventiva circa l’entità e le potenzialità del controllo sia degli impianti fissi che degli strumenti a disposizione.
Per quanto riguarda la Privacy, i datori di lavoro non possono montare strumentazioni o applicazioni con funzione di controllo. Sui tablet e sugli smartphone in dotazione, per esempio, devono essere presenti solo software finalizzati al lavoro per il quale sono stati consegnati. Quindi, l’utilizzo delle informazioni rilevate non possono essere utilizzate sistematicamente come strumento mirato al controllo delle attività e del comportamento dei lavoratori. Ciò significa che quando il telefonino o il pc viene modificato, ad esempio con applicazioni di geolocalizzazione o filtraggio, non è più uno strumento di lavoro del dipendente ma un mezzo fisso del datore di lavoro per controllarne la prestazione se pur con finalità di sicurezza, ma se questo è lo scopo, si ricadrebbe nella normativa degli impianti fissi, prevedendo come essi l’autorizzazione sindacale.
Una geolocalizzazione non continuativa è comunque protetta dal Garante Privacy, che ha da tempo predisposto linee guida particolarmente tutelanti del diritto dei lavoratori: si prevede infatti che l’utilizzo di questi strumenti debba essere notificato all’Autorità e dichiarato adeguatamente al dipendente, deve garantire la protezione della vita privata, limitandosi a rilevare la localizzazione e impedendo l’accesso ad altri dati (sms, posta elettronica, traffico elettronico), deve segnalare l’attivazione visibilmente attraverso un’icona sul dispositivo e soprattutto deve garantire una rilevazione non continuativa e che elimini la procedente automaticamente.
Così definita, la cornice di garanzie che impedisce forme ingiustificate e invasive di controllo, si fonda sui principi Privacy, ma rimane di discutibile valore per le forze sindacali pronte a dar battaglia. E’ evidente come la trasformazione apportata dagli strumenti informatici e digitali al mondo del lavoro segni nuove fratture da superare con strumenti e modelli organizzativi adeguati ai tempi del cambiamento.