Bitcoin: origine e diffusione – Parte I
Il Bitcoin rappresenta un fenomeno in costante crescita. Le luci della ribalta per questo metodo di pagamento si sono accese durante il periodo del così detto “effetto Cipro”, nell’aprile del 2013. In quell’occasione un Bitcoin raddoppiò il proprio valore in pochi giorni, arrivando a valere sino a 240 dollari. Questo evento ha senza dubbio segnato un passo fondamentale nella popolarità di questo strumento, divenuto oggetto di conversione di valuta da parte dei cittadini ciprioti i quali avevano intuito il potenziale di questa “moneta virtuale” quale base di cambiamento per l’intero sistema monetario internazionale. Anche se siamo ancora ben lontani da questo scenario, il Bitcoin emerge quale novità nel panorama dei pagamenti sempre più accettati da aziende e compagnie.
Di cosa si parla quando si fa riferimento al fenomeno del Bitcoin?
Esso rappresenta un nuovo sistema di pagamento completamente digitale, fondato essenzialmente sull’uso di metodi crittografici e di libero accesso. Infatti, il software sorgente è stato interamente concepito sotto forma di open source, e può essere liberamente scaricato ed utilizzato da ogni utente che lo desideri dietro licenza free-ware. Lo scambio di valuta avviene anche attraverso mobile devices quali tablet, smartphone o smartwatch, e con sempre maggior frequenza le piattaforme di e-commerce e negozi fisici inseriscono tra i mezzi di pagamento consentiti il Bitcoin.
eBay, alberghi, ristoranti e palestre, sono solo alcune delle categorie attraverso cui è possibile procedere al pagamento con questa particolare valuta. Dietro l’impulso reattivo europeo, anche l’Italia ha iniziato un procedimento di apertura, seppure in tempi piuttosto lenti. Allo stato attuale sono più di un centinaio i professionisti che accettano il Bitcoin, con esperienze che indicano un trend di crescita. Uno dei vantaggi di questa singolare moneta è sicuramente l’impossibilità, da parte dei governi, di una sua gestione. Non esiste infatti un’Autorità precisa che sia titolata alla loro emissione, e la quantità sino ad ora paventata è fissa, e si aggira intorno ai 21 milioni. Ogni quattro anni si assiste inoltre ad un loro aumento. Sino al 2013 il numero di monete circolanti era pari a circa la metà, e la loro crescita proporzionata dovrebbe stabilizzarsi nella sua cifra totale intorno al 2040. Attualmente, si conta una circolazione di Bitcoin pari a 13 milioni.
La normativa
Nel compiere un’analisi più specifica sui tratti che caratterizzano il Bitcoin, occorre partire innanzitutto proprio dal fatto che siano usati come mezzo di pagamento. Da un punto di vista normativo, occorre rifarsi a tre direttive emanate in ambito europeo: la direttiva n. 28 del 2000, la n. 46/2000 sull’avvio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti emittenti di moneta elettronica, ed inoltre la direttiva di modifica n. 110 del 2009, la quale modifica precedenti direttive e abroga la n. 46/2000 poco sopra menzionata. In quest’ultima veniva definita la moneta elettronica come “un valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia memorizzato su un dispositivo elettronico, emesso dietro ricezione di fondi, il cui valore non sia inferiore al valore monetario emesso e accettato come mezzo di pagamento d’imprese diverse dall’emittente”.
L’intervento della BCE e la cripto moneta
Da una definizione come questa prende avvio l’individuazione degli elementi qualificanti la fattispecie, avendo presente l’intesa sul concetto di “valore monetario”. All’interno del parere reso nella proposta di Direttiva, vi furono alcune perplessità manifestate dalla Banca Centrale Europea sulla opportunità o meno di usare una simile formula. Venne ritenuta eccessivamente generica, e ad essa si preferì quella di “redeemable claim”. In un secondo tempo tuttavia, il legislatore preferì mantenere comunque una accezione più aperta, qualificando in ogni caso la moneta elettronica sotto forma di “valore monetario”.
Attraverso la direttiva n. 11 del 2009, si assiste ad un ulteriore passo in avanti, poiché viene eliminato il riferimento precedente al “dispositivo elettronico” contenuto nella definizione. Viene quindi ricompresa, nella fattispecie, la possibilità che siano usati supporti meramente virtuali (hard disk e memorie esterne dei propri computer), dando così avvio alle cripto monete. Nota distintiva è sicuramente in questo caso l’assenza di informazioni riguardanti il proprietario della valuta virtuale. Ecco perché l’accostamento con il denaro materiale è di immediata facilità: uno dei caratteri distintivi, ovvero l’anonimato rimane inalterato, poiché la moneta elettronica una volta scambiata non incide sull’identità dell’agente che la cede in termini di riservatezza, proprio come accade utilizzando monete e banconote.
Altro passo in materia è stato recentemente compiuto nel febbraio del 2015, in cui il Consiglio direttivo della BCE (Banca Centrale Europea), ha pubblicato un report sui cosiddetti “VCR” , ovvero i sistemi di moneta virtuale. Tale documento, redatto dal Comitato per i sistemi di pagamento e regolamento dell’Unione, conferma lo sviluppo dei VCR e ricolloca ancora una volta il Bitcoin come il più conosciuto e globalmente utilizzato tra i 500 metodi di pagamento utilizzati. Vengono sempre di più inoltre usati per i pagamenti al dettaglio, uscendo letteralmente dal circuito economico monetario tradizionale.
La Pronuncia della Corte di Giustizia UE e la questione IVA
Al riguardo è necessario esaminare una recente pronuncia del 22 ottobre 2015 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale è arrivata a stabilire che le operazioni di cambio di valute tradizionali contro la criptovaluta «Bitcoin» e viceversa sono esenti dall’IVA (a norma dell’art. 135(1) lett. e). La sentenza, (C-264/14), riguardava il caso di un cittadino svedese, il quale desiderava avviare una attività consistente nel cambio di valute tradizionali nella valuta virtuale “Bitcoin” e viceversa. All’inizio di queste operazioni egli tuttavia si riservò di chiedere un parere di conformità alla commissione tributaria svedese, per sapere se fosse stato necessario versare l’IVA all’atto di acquisto ed all’atto di vendita dell’unità di Bitcoin. La commissione si pronunciò nel senso di individuare tale mezzo come corrispondente ai mezzi legali di pagamento e come tale aveva diritto all’esenzione da IVA.
L’amministrazione finanziaria svedese tuttavia propose ricorso avverso la decisione della commissione dinanzi alla Corte suprema amministrativa, lamentando che le operazioni oggetto della controversia non sarebbero di diritto da annoverare tra quelle per le quali è contemplata l’esenzione da IVA. In ultima istanza, la Corte si è espressa sottolineando il fatto che tali operazioni siano di base esenti dall’IVA in forza della norma inerente le operazioni correlate a «divise, banconote e monete con valore liberatorio». Dunque viene espressamente chiarito il fatto che escludere le operazioni in oggetto dalla sfera di applicazione di queste disposizioni, equivarrebbe a privare la norma stessa dei suoi effetti. In altre parole, il problema si sposterebbe nel fatto che non sia possibile, in questo modo, ovviare alle difficoltà che emergerebbero in sede di determinazione dell’imponibile e dell’IVA detraibile, restando dunque scoperti nel contesto delle imposizioni finanziare alle operazioni di valuta.