Diritto di espressione e diritto alla reputazione. Quale equilibrio online?
L’Internet di oggi sta assurgendo sempre più a luogo di democrazia estrema dove ogni utente, mediante l’esternazione delle proprie idee è capace di modificare ed influenzare le scelte di altri. Anche quelle economiche. Un commento o una recensione negativa, inferta ad un operatore economico che fa della propria reputazione sul Web uno dei punti di forza del proprio modello di business, possono molto spesso pregiudicare lo sforzo economico che questi ha sostenuto per “accreditarsi” nella rete, mortificandolo.
Diritti in cerca di equilibrio
Il diritto alla libera manifestazione del pensiero è un diritto costituzionalmente garantito ad ogni utente del web, pertanto ognuno potrà sentirsi libero di esprimersi e condividere il proprio pensiero.
Il sempre maggior utilizzo dei canali online (siti, social, app), unitamente alla falsa convinzione che le azioni virtuali non si riverberino nella vita reale rimanendo confinate dietro lo schermo, fa sì che, mediamente, gli internauti siano molto più spregiudicati nell’esprimere le proprie opinioni in rete di quanto non lo siano nella vita reale.
Tale diritto trova il suo unico limite nell’esistenza di altri diritti di pari rango che sono il diritto all’onore, al decoro ed alla reputazione. La manifestazione di pensiero che leda gli altrui diritti sopra citati deve essere considerata illecita e nel nostro ordinamento penalmente sanzionata.
Per onore si devono intendere le qualità morali della persona, mentre il decoro si riferisce al complesso di quelle qualità che determinano il valore sociale del soggetto. In buona sostanza la lesione dell’onore e del decoro consiste nella lesione della percezione che un soggetto ha di sé.
Di converso, per diritto alla reputazione deve intendersi quale bene giuridico tutelato dallo Stato che si estrinseca nel diritto alla integrità morale individuato nella stima diffusa nell’ambiente sociale o ambiente professionale.
In altre parole, la reputazione si può considerare l’insieme delle opinioni che gli altri hanno dell’onore e decoro di una determinata persona.
Ingiuria e Diffamazione: differenze e casi
La legge 547 del 1993 che ha introdotto i cosiddetti Crimini Informatici nel nostro sistema giuridico non ha legiferato sui crimini lesivi dell’onore, decoro e reputazione commessi attraverso internet, pertanto le norme poste a presidio di tali diritti rimangono esclusivamente gli articoli 594 (ingiuria) e 595 (diffamazione) del codice penale.
La differenza tra i due reati (ingiuria e diffamazione) si sostanzia nel bene tutelato: mentre l’ingiuria punisce la lesione della percezione ha di sé, la diffamazione punisce la lesione della reputazione che gli altri hanno del soggetto leso.
Nella pratica, la differenza tra i due reati si rinviene nella presenza o meno del soggetto danneggiato al momento dell’esternazione delle espressioni offensive.
Facendo un esempio pratico: l’utente che invia a mezzo mail ad un altro utente un commento denigratorio ed offensivo sulla sua reputazione è passibile di querela per ingiuria, poiché il danneggiato recepisce direttamente l’offesa.
Mentre l’utente che posta sulla propria pagina o bacheca Facebook un commento denigratorio ed offensivo sulla reputazione di un utente terzo, non presente tra i propri amici, integrerà il reato di diffamazione.
Come già detto sia il reato di ingiuria che di diffamazione possono essere posti in essere attraverso la rete internet, ma non solo. L’estrema capacità di diffusione delle notizie sul web ha portato la giurisprudenza ad equiparare internet alla carta stampata, rendendo quindi il reato di diffamazione commessi a mezzo internet reati aggravati ai sensi del terzo comma della medesima norma.
Per poter meglio comprendere l’anzidetto limite oltre il quale il diritto di libera espressione del pensiero sconfina nella lesione della reputazione altrui, sopratutto in tema di “recensioni” su prodotti, aziende e servizi o professionisti, occorrerà stabilire, occorrerà stabilire fino a che punto l’internauta si può spingere con la propria critica.
Indicatori utili anche per le aziende che possono, a loro volta, meglio tutelarsi rispetto ad azioni non lecite da parte dei propri clienti o prospect. L’uso dei social network come strumento di assistenza alla clientela, ad esempio, se non correttamente monitorato può lasciare spazi a messaggi ingiuriosi o diffamatori. Dall’altro lato occorre porre molta attenzione a non ledere la libertà di espressione di chi segue un brand o si pronuncia su un servizio o prodotto, sebbene in termini negativi.
Volendo, senza presunzione di esaustività, riassumere per punti le condizioni entro cui il diritto di critica può estrinsecarsi senza sconfinare nella diffamazione, possiamo elencare:
- L’attribuzione di fatti veri screditanti (es. una sentenza di condanna), se tale fatto abbia un nesso logico con la critica che si sta muovendo, e non sia estemporaneo o privo di connessioni.
- Interesse pubblico alla conoscenza dei fatti attribuiti.
- La continenza delle espressioni utilizzate, ovvero che le stesse non risultino pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine della critica.