Contraffazione brand su siti web: rilevante il luogo di realizzazione del portale
La recente decisione del Tribunale di Torino chiarisce i criteri di individuazione del foro territorialmente competente nelle ipotesi di contraffazione del marchio avvenuta tramite siti web, stabilendo che quando l’illecito consiste in caratteristiche strutturali del sito web (grafica, colori, testi) sia competente il Tribunale del luogo in cui è stato realizzato il sito web.
Il caso
La questione riguarda la presunta contraffazione dei noti marchi “Tiffany”, “Tiffany&Co.” e “Colore Blu Tiffany” da parte di una società siciliana, che svolge vendita di prodotti di gioielleria al dettaglio tramite un proprio negozio ed attraverso due siti web, sfruttando anche a livello promozionale social network e portali e-commerce.
La famosa azienda newyorkese contestava l’uso non autorizzato dei propri marchi, utilizzati come denominazione e nome a dominio, su social media nonché nella grafica e nei testi delle pagine dei siti. Siti web che contengono elementi distintivi ad imitazione dei segni distintivi della ricorrente, quali la scatoletta blu con fiocco ed il noto colore.
Chiedeva quindi l’inibizione a controparte di qualunque uso del noto marchio, il sequestro dei prodotti riproducenti il brand ed il trasferimento dei nomi a dominio contestati.
La resistente, tra le varie eccezioni, opponeva in primo luogo l’incompetenza territoriale del Tribunale di Torino, luogo in cui è stato ordinato e consegnato un prodotto venduto tramite i siti contestati, sostenendo invece la competenza del Tribunale della città dove ha sede la convenuta.
La decisione
Il Giudice affronta la questione soffermandosi sull’interpretazione dell’art. 120, co. 6 CPI (Codice Proprietà Industriale), che fissa un criterio di competenza speciale rispetto ai criteri generali, prevedendo che “le azioni fondate su fatti che si assumono lesivi del diritto dell’attore possono essere proposte anche dinanzi all’autorità giudiziaria dotata di sezione specializzata nella cui circoscrizione i fatti sono stati commessi”.
Se è pur vero che il luogo di “commissione del fatto” può essere individuato tanto in quello in cui è stata posta in essere la condotta lesiva, quanto in quello in cui si sono prodotti gli effetti pregiudizievoli della condotta stessa, occorre che il luogo individuato conservi pur sempre un effettivo collegamento con la controversia. Infatti, la deroga prevista dall’art. 120, co. 6 CPI ha ragion d’essere in quanto il luogo in cui sono posti in essere i fatti lesivi è presuntivamente quello in cui tali fatti possono essere accertati processualmente con meno difficoltà. Non è invece corretto, sulla base della aterritorialità della rete, identificare il danno in un qualsiasi luogo in cui avviene o può avvenire una singola vendita, in quanto luogo non dotato di un effettivo e stretto collegamento, non meramente occasionale, con la controversia. Né tantomeno può essere il luogo in cui è ubicato il server, come confermato anche dalla giurisprudenza comunitaria, stante la sua localizzazione incerta e difficilmente identificabile.
Di conseguenza, quando l’attività contraffattiva sia posta in essere tramite un sito web, realizzato con grafica, colori ed altri elementi che violano le privative altrui, il luogo in cui incardinare il processo non può che essere quello in cui è stata posta in essere l’attività di realizzazione del sito. Allo stesso modo, quando l’illecito consiste nella messa in vendita di prodotti contraffatti, il luogo in cui “i fatti sono stati commessi” è quello in cui avviene l’inserimento sul sito delle offerte di vendita.