UE: la contestata riforma del copyright di nuovo al voto

04/09/2018
di Giulia Rizza

Il prossimo 12 settembre il Parlamento Europeo è chiamato a discutere in seduta plenaria la proposta di direttiva europea sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, come modificata a seguito della decisione del 5 luglio scorso di non dare avvio ai negoziati fra Parlamento, Consiglio e Commissione UE sulla proposta di direttiva presentata in tale data dal relatore del provvedimento, Axel Voss.

L’evoluzione tecnologica ed i rischi di frammentazione del mercato interno rendono necessario un intervento a livello UE in materia di diritto d’autore, ed in tal senso la strategia per il mercato unico digitale adottata dalla Commissione nel maggio 2015 ha individuato la necessità di “assorbire le differenze fra i diversi regimi nazionali del diritto d’autore e aprire maggiormente agli utenti l’accesso online alle opere in tutta l’UE“, al fine di realizzare un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi degli autori e di altri titolari di diritti, da un lato, e degli utenti, dall’altro.

La direttiva proposta

In tale contesto, tenuto conto anche dei risultati delle consultazioni pubbliche effettuate dalla Commissione tra il 2013 ed il 2016, è nata la proposta di direttiva presentata da Axel Voss.

Proprietà Intellettuale IndiaIl testo è stato favorevolmente accolto dalle principali associazioni di editori musicali e produttori cinematografici, che rivendicano strumenti legali per negoziare i compensi con aziende che monetizzano con i loro contenuti online, ma allo stesso tempo fortemente contestato dai colossi del web, contrari all’introduzione di un obbligo preliminare di monitoraggio dei contenuti diffusi tramite le proprie piattaforme, e dagli attivisti per la libertà del web, i quali ritengono che la proposta normativa limiti la circolazione dei contenuti su rete a discapito della libertà di espressione.

Ed infatti gli articoli maggiormente contestati sono l’articolo 11 “Protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale” e l’articolo 13 “Utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale caricati dagli utenti” della proposta di direttiva.

L’articolo 11 riconosce agli editori di testate giornalistiche i diritti di riproduzione e di messa a disposizione al pubblico per l’utilizzo digitale delle proprie pubblicazioni giornalistiche, per un periodo di 20 anni decorrenti dall’uscita della pubblicazione di carattere giornalistico.

Erroneamente diventato noto come “link tax”, i sostenitori della riforma ritengono che la modifica sia necessaria per limitare l’attuale sfruttamento a scopo di lucro, da parte dei giganti di Internet) di notizie e fotografie prodotte da terzi. Dall’altro lato, le principali criticità mosse alla proposta cassata sottolineano come la disposizione non sia sufficiente a supportare un giornalismo di qualità, evidenziando come a sparire da social e aggregatori sarebbero, con tutta probabilità, i contenuti realizzati da piccoli editori e blogger, che non hanno risorse sufficienti per negoziare in maniera paritaria con gli aggregatori di notizie.

Il testo emendato, in discussione il prossimo settembre, specifica che il riconoscimento dei diritti agli editori è volto ad ottenere, da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione, una remunerazione equa e proporzionata per l’utilizzo delle proprie pubblicazioni giornalistiche, escludendo da tale obbligo i collegamenti ipertestuali e l’uso privato e non commerciale delle opere da parte di singoli utenti, e prevedendo esplicitamente la non retroattività della disposizione normativa. Il considerando 35 chiarisce, nella versione emendata, che “gli autori le cui opere sono inglobate in una pubblicazione di carattere giornalistico dovrebbero avere diritto a una quota adeguata dei nuovi proventi aggiuntivi che gli editori di giornali ricevono per taluni tipi di utilizzo secondario delle loro pubblicazioni giornalistiche dai prestatori di servizi della società dell’informazione nel rispetto dei diritti stabiliti all’articolo 11, paragrafo 1, della presente direttiva”, ed a tal fine è stato inserito un ultimo comma in cui si esplicita che “Gli Stati membri provvedono a che gli autori ricevano una quota adeguata dei proventi supplementari percepiti dagli editori per l’utilizzo digitale di pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione”.

L’articolo 13 presuppone che tra i titolari dei diritti d’autore ed i prestatori di servizi “che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale caricati dagli utenti” siano stati stipulati accordi disciplinanti l’uso di opere protette, ed impone ai prestatori di servizi l’adozione di misure adeguate e proporzionate volte a rendere non disponibili opere che violino il diritto d’autore o i diritti connessi, quali sistemi come il “Content ID” utilizzato da YouTube per evitare che siano caricati video che violano il copyright.

copyright-389901_1280La norma, favorevolmente accolta da etichette musicali e produttori cinematografici quale efficace strumento di lotta alla pirateria on-line, è stata osteggiata dai colossi del web e dalla comunità digitale, che ne contestano il carattere censorio, sostenendo come sia un pericoloso passo in avanti verso la “trasformazione di Internet da un sistema aperto, per condividere e fare innovazione, a uno strumento per la sorveglianza e il controllo dei suoi utenti”. I detrattori sostengono infatti che tale filtro preliminare non garantisca adeguati controlli, soprattutto con riferimento ai molti utilizzi legittimi dei contenuti protetti dal diritto d’autore (ad es. meme, parodie e/o citazioni) che i software non sarebbero in grado di discriminare rispetto ai contenuti che effettivamente violano il copyright, sancendo il venir meno del principio di libertà della rete. Inoltre, come evidenziato anche dal parere della Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, l’attuale formulazione risulterebbe incompatibile con il regime di responsabilità limitata dei prestatori di servizi stabilito dalla direttiva 2000/31/CE, che esclude esplicitamente un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che tali soggetti trasmettono o memorizzano.

Il contestato articolo è stato fortemente emendato sin dal titolo, che nella versione in discussione il prossimo 12 settembre diventa “Utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi di condivisione di contenuti online”. Viene altresì fornita una definizione di prestatori di tali servizi, quali “un prestatore di servizi della società dell’informazione che persegue, tra i vari scopi principali, quello di memorizzare e dare pubblico accesso a opere protette dal diritto d’autore o ad altro materiale protetto caricato dagli utenti, che il servizio provvede a ottimizzare. I servizi che agiscono a fini non commerciali quali le enciclopedie online e i prestatori di servizi online in cui il contenuto è caricato con l’autorizzazione di tutti i titolari di diritti interessati, come i repertori didattici o scientifici, non dovrebbero essere considerati prestatori di servizi di condivisione di contenuti online ai sensi della presente direttiva. I prestatori di servizi cloud per uso individuale che non forniscono un accesso diretto al pubblico, le piattaforme di sviluppo di software open source e i mercati online la cui attività principale è la vendita al dettaglio online di beni fisici, non dovrebbero essere considerati prestatori di servizi di condivisione di contenuti online ai sensi della presente direttiva”, in evidente risposta alle proteste di Wikipedia, che nei giorni precedenti alla votazione del 5 luglio scorso aveva oscurato il proprio sito contro la proposta di direttiva, ed in particolare contro gli articoli 11 e 13.

Oltre a porre maggiore attenzione sull’obbligo di conclusione di accordi equi ed appropriati con i titolari dei diritti, “per prevenire usi impropri o restrizioni nell’esercizio delle eccezioni e limitazioni al diritto d’autore” i prestatori di servizi dovranno prevedere ricorsi rapidi ed efficaci, riconoscendo agli utenti la facoltà di adire il giudice e/o le altre competenti autorità giudiziaria per far valere l’applicazione di un’eccezione o di una limitazione al diritto d’autore, e prevedendo altresì un sistema di risoluzione alternativa delle controversie.

L’attenzione al trattamento dei dati personali

Rispetto al precedente testo, viene inoltre posta maggiore attenzione al trattamento dei dati personali, stabilendo esplicitamente che, nel rispetto del GDPR, i sistemi di filtraggio adottati dai prestatori di servizi “non richiedono l’identificazione dei singoli utenti e il trattamento dei loro dati personali”. Sul tema, anche il considerando 46 è stato modificato, richiamando il rispetto del GDPR “compreso il diritto all’oblio“, ed è stato inserito il considerando 46 bis in base al quale “È opportuno sottolineare l’importanza dell’anonimato quando si trattano dati personali per scopi commerciali. Inoltre, quando si utilizzano interfacce di piattaforme online è auspicabile promuovere l’opzione “predefinita” di non condivisione dei dati personali”.

La riforma del copyright a livello UE è indubbiamente una necessità, ed il bisogno di norme complementari per affrontare le specificità degli utilizzi digitali delle opere protette dal diritto d’autore è sentito da tutte le parti.

Tuttavia, il dibattito sul progetto di riforma resta sempre aperto e combattuto.

In vista della votazione del 12 settembre, il responsabile dell’ufficio di Baghdad dell’agenzia France Presse, Sammy Ketz, ha inviato ai parlamentari europei una lettera-appello, sottoscritta da 103 giornalisti di tutta Europa, a favore dell’adozione di una normativa unitaria sul diritto d’autore per salvare il giornalismo contro lo sfruttamento che i colossi del web fanno dei contenuti editoriali creati da altri, monetizzando senza tuttavia riconoscere ai titolari dei diritti alcun compenso per l’uso di tali opere.

Contro la proposta di direttiva, ed in particolare contro l’articolo 13 ed i rischi che rappresenta per la libertà di espressione e la neutralità della rete, la petizione on-line “Stop the censorship-machinery! Save the Internet!” è vicina a raggiungere 1 milione di firme.

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